PARIGI- Ha destato una certa sorpresa la mostra di Bernar Venet che due gallerie parigine, Daniel Timplon e Gillepsie-de-Laage, hanno allestito di recente presentando una serie di dipinti e disegni. L’artista aveva interrotto il proprio lavoro da molti anni e di questa decisione aveva anche fornito una motivazione teorica. Secondo Venet, la produzione degli artisti attraversa tre stadi fondamentali: un primo stadio, di acquisizione di un certo numero di informazioni; un secondo, corrispondente al momento più creativo, durante il quale l’artista realizza quelle opere che allargano la definizione dell’arte mettendo in questione i dati già acquisiti; un terzo, infine, che coincide con una serie di variazioni, più o meno originali, che l’autore compie a partire dal nucleo di opere realizzate nel secondo stadio. È appunto in questo momento di passaggio tra la seconda e la terza fase, quando, come scrive lo stesso Venet, «la ricerca relativa all’oggetto arte cede il posto alla fabbricazione di oggetti d’arte», che l’artista ha programmaticamente interrotto il proprio lavoro, convinto della inutilità di continuare una produzione di opere al di là di quelle che avevano già contribuito a ridefinire, a suo giudizio, il concetto di arte.
Questa ridefinizione di campo, che coincide con la fase più specificamente «concettuale» del lavoro di Venet, consiste nella proposta di ricostruire il linguaggio dell’arte su basi rigorosamente esatte, monosemiche, prive di ambiguità: per questa ragione l’artista sostituisce l’opera tradizionale con una informazione matematica, o, in senso lato, scientifica, limitando il proprio intervento al prelievo dei dati e alla loro presentazione nel contesto della galleria (nei casi limite, l’operazione consiste nella pura e semplice presentazione di testi scientifici – articoli o libri). In questa fase, quindi, Venet si interessa essenzialmente ai dati dell’informazione, mentre considera neutrali e indifferenti i modi della presentazione dei dati stessi, ossia i supporti materiali dell’opera.
I lavori recenti sembrano contraddire questa posizione, che appartiene, del resto, all’intera area della ricerca concettuale: si tratta di tele di grande formato, che occupano notevoli porzioni di spazio e si impongono, quindi, con la loro forte presenza materiale. Su queste tele, divise in scomparti, l’artista costruisce degli angoli con le relative misure, fornendo ancora una informazione rigorosamente esatta. Tuttavia i dati dell’informazione non appaiono più prelevati da un altro contesto (quello della ricerca scientifica), ma vengono costruiti insieme ai supporti fisici dell’opera che finiscono, quindi, con l’interferire con una serie di dati di ordine più accidentale (formato della tela, interruzioni della superficie, stesura bianca del colore e tracce scure dei segni).
Naturalmente, ho posto all’artista tutta una serie di interrogativi, conoscendone la predilezione per la riflessione teorica e l’esigenza di trasferire la propria operazione sul piano di un’analisi generale dell’arte. Mi risponde che non ritiene ci sia una contraddizione tra le opere recenti e la fase anteriore, ma piuttosto uno sviluppo; ammette volentieri che la neutralità, l’indifferenza dei supporti, affermata dall’arte concettuale, è più un termine limite di riferimento che non un dato concretamente raggiungibile, non fosse altro perché il supporto non è mai neutro, per quanto possa essere sottoposto a un processo di smaterializzazione; riafferma però l’importanza di questo aspetto delle investigazioni concettuali proprio perché la «neutralità» del supporto ha consentito agli artisti di concentrarsi su una analisi dei procedimenti mentali che presiedono alla formazione dell’arte; sostiene, infine, che le intenzioni del suo discorso non sono mutate in quanto anche ora egli vuole fornire una informazione esatta, priva di ambiguità.
Il discorso di Venet è, come di consueto, estremamente lucido. Ma non riesce a convincermi del tutto su un punto: nelle ultime opere esiste infatti una contraddizione tra il contenuto della informazione e la comprensibilità dei dati fisici entro i quali il messaggio è costruito, mentre nei lavori precedenti, la neutralità, sia pure relativa, dei modo di presentazione tendeva a far emergere, in trasparenza, l’informazione scientifica al massimo della sua purezza. Una contraddizione che contrassegna, in positivo, l’ultimo lavoro di Venet, ma ne sposta la collocazione rispetto al mentalismo delle invenzioni più propriamente concettuali. L’interferenza che si viene a determinare nelle opere recenti tra nozione scientifica e dati materiali dell’opera mostra, infatti, come qualsiasi informazione (anche la più apparentemente oggettiva) è legata ai modi con cui viene data, ossia al lavoro che la produce.