Burri, nuovo e antico

Linea di continuità tra le ricerche di ieri e oggi

Quando il Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale, attualmente in fase di ristrutturazione a opera dell’architetto Costantino Dardi, sarà nuovamente agibile, la cultura artistica romana potrà disporre certamente di una macchina espositiva di primissimo piano. Sembra, fortunatamente, che la data della consegna non sia più molto lontana, ma, intanto, nuovi spazi vengono acquisiti con riadattamento di vecchi stabilimenti industriali, come gli ambienti della ex fabbrica del ghiaccio della Birra Peroni, in via Reggio Emilia. Ristrutturati dall’architetto Francesco D’Asaro questi locali sono destinati ad accogliere la Galleria comunale d’arte moderna, attualmente confinata, e praticamente chiusa, a Palazzo Braschi.

Si tratta di spazi espositivi estremamente suggestivi e funzionali come risulta evidente dalla grande mostra di opere recenti di Alberto Burri che essi ospitano in questi giorni. Promossa dal Comune l’esposizione si accompagna ad una seconda mostra, pure di lavori recenti dell’artista umbro, allestita presso il Palazzo del Rettorato della città universitaria per iniziativa del Museo laboratorio d’arte contemporanea dell’ateneo romano. Lo stesso rettore Antonio Ruperti ha sottolineato il carattere sperimentale del museo assegnandogli il compito «di proseguire attraverso l’esposizione di opere d’arte la presentazione delle metodologie della ricerca storico-artistica e l’informazione sui fenomeni d’arte».

L’iniziativa combinata di Università e Comune si inaugura, quindi, sotto il segno di Burri e la scelta è senza dubbio significativa configurandosi come un omaggio a uno degli artisti più importanti dell’arte italiana del secondo dopoguerra.

Farà discutere, in ogni caso, la scelta dei curatori che hanno centrato l’esposizione intorno al lavoro di questi ultimi dieci anni: una scelta, comunque, motivata dal fatto che l’opera recente appare meno nota al di fuori di una cerchia ristretta di amatori e di esperti, ma che non potrà non porre la questione di un confronto con le fasi precedenti e soprattutto con quelle iniziali, certamente più dirompenti, del lungo percorso compiuto dall’artista.
Diciamo subito che i tre grandi cicli realizzati da Burri negli ultimi dieci anni («Il Viaggio», «Sestante» e «Annottarsi») esposti negli ambienti dell’ex Birra Peroni e la serie dei Monotex presentata al Rettorato (le due grandi sculture richiedono un discorso a parte) mettono in evidenza una linea di continuità tra il vecchio e il nuovo, confermano la costanza di un procedimento formativo in equilibrio continuamente mobile tra impianto formale e valore autonomo della materia: si tratta di un ordine compositivo che serra la materia e il colore in una griglia strutturale di forte impianto costruttivo. Nell’opera di Burri, soprattutto in quella delle fasi inziali, il valore della materia, con tutto il suo peso e la sua consistenza, coesiste, quindi, con una irrinunciabile esigenza di forma.

Il lavoro di Burri appare, infatti, sorretto da due istanze complementari, che agiscono simultaneamente e contribuiscono con pari diritti alla messa a punto dell’opera. Tra queste due polarità si stabilisce un rapporto di contraddizione didattica che l’artista (e in questo consiste il suo merito maggiore) accoglie come momento fondante dei procedimenti operativi, senza cedere alla tentazione di pervenire a una loro consolatoria riappacificazione: nessuna ricerca di equilibri statici, dunque, quanto piuttosto una messa in moto di forti correnti e flussi di energia che attraversano l’intera superficie e tengono in continua tensione l’orditura formale.

Ma perché questo straordinario risultato sia raggiunto è necessario che le due forze in gioco dimostrino di possedere eguale forza, di saper fare ciascuna la propria parte, e di farla fino in fondo, per cui non si verifica né un abbandono alla pura casualità della materia né il trascendimento, la sublimazione di essa nella purezza diafana della forma.

Ecco il punto, il luogo risicato e difficile in cui Burri ha saputo attestarsi nei momenti più felici, quelli che gli hanno assicurato la fama giustissima di un maestro dell’arte contemporanea. Ma io mi chiedo se nelle opere recenti il colore riesca sempre a contrastare con la stessa forza della materia (il sacco, il ferro, il legno eccetera) la fortissima, pressante coazione formale dell’artista; o se no si verifichi, talvolta, uno sbilanciamento tra le forze in gioco a favore della orditura formale, uno scompenso che finisce col dare l’impressione di trovarsi in molti casi di fronte a una pittura di grandissima suggestione e bellezza, ma una pittura in definitiva senza errori, senza gesti estremi.

La scultura, invece, mi sembra di vivere fino in fondo la contraddizione costitutiva dell’opera migliore di Burri, cercandola tra la tridimensionalità delle forme curve, che accolgono una porzione di spazio ambientale nell’interno dell’opera, e la bidimensionalità delle stesure di colore (il nero e il rosso), per cui lo spettatore è incessantemente sollecitato a una ispezione percettiva della superficie e a un coinvolgimento nella forma concava dell’opera.

Per questo gioco alterno di spinte e controspinte la scultura tiene in scacco la sua mole monumentale presentandosi come pura struttura, come un oggetto nudo che mostra soltanto se stesso, esponendo la primarietà della propria forma, come in un enunciato tautologico. La radicalità della proposta plastica di Burri è da ritrovare appunto in questa voluta, consapevole «insignificanza» dell’opera, nella capacità dell’artista di rifarsi ad altre esperienze, come, in questo caso, alla materialità letterale, antimetaforica, della scultura minimal, per ricondurla, tuttavia, nell’ordine dei suoi pensieri e di segnarla con la gravità austera del suo inconfondibile accento.

ALBERTO BURRI
Palazzo del Rettorato
della Città Universitaria
ex Birreria Peroni
via Reggio Emilia, 54
Roma
fino al 13 settembre