Corriere dell’arte – supplemento del Corriere della Sera – Vincenzo Agnetti: esperienze post-concettuali

Andiamo a lavorar…

ROMA – La mostra di Vincenzo Agnetti allo studio d’arte di Giuliana De Crescenzo (aperta fino al 25 novembre) a Roma si iscrive coerentemente nella storia personale dell’artista e rappresenta, nello stesso tempo, una significativa conferma di una tendenza, piuttosto diffusa nell’arte attuale, intesa a porre l’operazione artistica sempre sul piano di una pratica linguistica specifica, rigorosamente verificata, ma a individuare anche i limiti in relazione dialettica con altre pratiche e, in ultima istanza, con la serie dei fatti sociali. Ciò che ora si chiede all’arte non è di abbandonare la specificità linguistica che ne sorregge la pratica, ma di metterla a confronto con più franchezza con le contraddizioni del reale: di qui l’esigenza di molti artisti, provenienti dalle esperienze linguistiche e autoriflessive del concettualismo, di porre un più stretto rapporto tra pratica artistica e pratica ideologica.

Un sintomo eloquente di questo nuovo orientamento della ricerca, che si potrebbe indicare, sia pure schematicamente, con il termine ideologia post-concettuale, si era avuto alla mostra Project 74 di Colonia, apertasi con lo slogan «L’arte resta arte», al quale il francese Daniel Buren aveva immediatamente contrapposto un altro slogan: «L’arte resta politica», e il nostro Giuseppe Chiari un altro ancora: «L’arte resta lavoro». Ma di quale lavoro si tratta? È a questa domanda che molti artisti cercano di dare una risposta accettando una definizione del proprio campo operativo come pratica linguistica specifica, ma insistendo di più sul primo termine, ossia sulla pratica, sulla pratica dell’arte come lavoro.

In Agnetti, investigazione linguistica e apertura ideologica giocano entrambe un ruolo determinante: i diritti del linguaggio sono tutti riaffermati in un’opera come «Mass-media» (1977) in cui la fotografia di una cascata reca la didascalia «La comunicazione è il mondo» e la fotografia di un secchio pieno d’acqua è commentata dalla legenda «Adesso l’acqua sa di secchio». Non meno attiva è la componente ideologica che rende le posizioni linguistiche dell’artista sensibilmente diverse da quelle più rigorosamente analitiche dell’arte concettuale in senso stretto.

Già nella serie degli «Istanti-lavoro» di alcuni anni addietro, come in quest’opera del ’77 intitolata «Addizione 1+2+3». Agnetti pone il problema della pratica dell’arte come lavoro: alcuni fogli, con strappi sfrangiati agli angoli, sono accompagnati dalla didascalia «Dati due istanti-lavoro vi sarà sempre una durata-lavoro contenente gli istanti-dati». Gli strappi sono le tracce di questo tempo-lavoro, la testimonianza di un intervento umano collocato in un punto determinato di una durata esistenziale.

Lavoro artistico e lavoro in generale non sono quindi diversi per una loro diversa natura: la qualità dell’uno o dell’altro non è in rapporto con il risultato finale (il prodotto) e nemmeno con l’idea di partenza (il progetto), ma con la qualità della durata (lo spazio di esistenza) che intercorre tra due istanti-lavoro, ossia con la qualità del lavoro che serve a produrre l’opera.