Anche Klee può deludere
SAINT-PAUL DE VENCE- Abituati alle grandi dimensioni dei quadri che segano ormai da decenni le tappe principali della pittura internazionale, dall’actionpainting americana fino alle nuove tendenze pittoriche, si prova un senso di lieve spaesamento di fronte ai «piccoli formati» che caratterizzano la produzione di Paul Klee e che costituiscono il grosso della mostra antologica dedicata all’artista dalla Fondazione Maeght, a Saint-Paul De Vence, aperta fino al 30 settembre. L’impatto visivo con le grandi superfici sembra avere un effetto più immediatamente gratificante, dispensarci, quasi, dalla fatica di una minuta decifrazione dei molti accademici pittorici che invece Klee accumula con ostinata minuzia sui fogli dei suoi disegni e sulle sue tele dipinte. Forse è proprio questo suo lavorare in sottigliezza, questo muoversi per linee verticali già tutte all’interno della tradizione del nuovo, più che menare grossi colpi e tagliare di netto (come hanno fatto Picasso e Duchamp, Mondrian e Malevich, e, perché no De Chirico), ad aumentare la distanza che ci separa da lui, a darci quasi il segno di una sorta di inattualità del suo messaggio? Certo è che eravamo più d’uno (metto in conto gli amici pittori con i quali ho visitato la mostra) ad avvertire un senso di insoddisfazione, addirittura un leggero malessere nel dover constatare che un così grande e venerato maestro non destava più in noi gli entusiasmi di un tempo. Ed eravamo tutti convinti che questo senso di estraneazione non era dovuto alle carenze, pure esistenti, della mostra, alle lacune che lasciavano dei vuoti nel percorso dell’artista. Intanto, i quadri di Klee hanno un che di prezioso, appaiono sempre più minuti e raffinati, come codici miniati. Più che superfici da guardare, son libri da leggere, da tenere con sé nella raccolta intimità dello studio; da decifrare con attenzione paziente, dipanando il filo conduttore delle linee dentro il fitto intreccio della struttura, come si può dipanare il filo di un racconto o il tema di una composizione musicale. Nei quadri di Klee, e non solo nei suoi disegni, l’elemento dominante è appunto la linea ed è questa che occorre seguire nel suo incessante evolversi, nelle sue continue metamorfosi. Per questa importanza decisiva che il segno assume nelle sue opere, Klee può essere posto a confronto con Picasso, rispetto al quale egli si colloca in una posizione diametralmente opposta. Picasso, quando si mette di fronte alla tela, sembra aver già «trovato» i punti essenziali dell’immagine; le stesse continue variazione che questa subisce durante il processo creativo sono in gran parte già presenti alla memoria dell’artista. «Sarebbe curioso – egli ha scritto – fissare fotograficamente, non le tappe di un quadro, ma le sue metamorfosi. Ci si accorgerebbe forse attraverso quale cammino un cervello proceda verso la concretizzazione del suo sogno. Ma ciò che è veramente assai curioso è il fatto di osservare che il quadro non cambia alla fine, che la visione iniziale resta quasi intatta malgrado le apparenze». Il procedimento kleiano si presenta con caratteri del tutto diversi: a differenza di Picasso, Klee non sa ciò che lo attende alla fine del lavoro in quanto la mano non è guidata da una immagine già forte in partenza, ma si dirige verso ciò che non è conosciuto, verso un invisibile che diventa a mano a mano visibile, lungo un percorso caratterizzato dalla più assoluta imprevedibilità. Ciò che è invece controllabile (e che l’artista controlla di fatto anche mediante un’analisi teorica e l’esercizio didattico) è il gioco di pesi e contrappesi, la loro alternanza, il loro continuo perdere e acquistare equilibrio, fino alla conclusione del processo, fino a quando «la bilancia non sia in equilibrio», come dice lo stesso Klee. Il procedimento compositivo ha una sua logica interna, autonoma rispetto alle associazioni che i segni possono di volta in volta destare. Nulla impedisce, comunque, che l’artista possa, alla fine, accettare un riferimento figurativo esterno, una associazione con un fatto naturale e definirla con un nome, un titolo.
Il mondo che le opere di Klee evocano è quindi un mondo di metamorfosi continue, di possibilità che i segni portano a compimento, quasi riprendendo un discorso interrotto dalla natura: ciò che guida la mano dell’artista è una tensione verso ciò che non è conosciuto, è quel «senso della possibilità», di cui parla Musil come di una «capacità di pensare tutto quello che potrebbe egualmente essere, e di non dare maggiore importanza a quello che è, che a quello che non è».