Non basta produrre merci bisogna anche vestirle bene
Lo scopo è di proteggerle, di venderle con più facilità, di renderle più gradite al consumatore – Il «paesaggio» della nostra civiltà e i compiti del «designer»
Le tecniche di imballaggio dei prodotti industriali stanno assumendo un’importanza sempre maggiore nel campo del design sia che si tratti della confezione di prodotti che vengono a contatto con il pubblico dei consumatori, sia di quelli che restano al di fuori del mercato, come ad esempio tutti i congegni meccanici che rimangono all’interno del ciclo produttivo dell’industria. In genere la funzione dell’imballaggio (del package come dicono gli anglosassoni con un termine entrato a far parte ormai di tutte le lingue) consiste nel proteggere e preservare le cose che contiene, a volte facilitandone l’uso. Il suo raggio di azione è molto vasto, spaziando da contenitori di poche gocce di profumo a contenitori che racchiudono tonnellate di latte.
Dal punto di vista della loro destinazione, gli imballaggi possono essere distinti in involucri non riutilizzabili, come i tubi di pasta dentifricia, barattoli, involucri di carta, eccetera, e in contenitori riutilizzabili anche per scopi diversi da quelli originari. Un’altra distinzione dei diversi tipi di package si basa sul diverso apporto che questo è in grado di dare all’uso del prodotto che contiene: vi sono infatti dei packages che «lavorano», come gli spruzzatori di aerosol, e altri che invece racchiudono semplicemente la merce. Il package può racchiudere non solo oggetti, ma anche esseri viventi: è il caso degli abiti di plastica per i tecnici che lavorano con materiali radioattivi. Si tratta anche in questo caso di un tipo di involucro che «lavora» in quanto esso collabora attivamente a svolgere una funzione con il proprio contenuto.
La tecnica del packaging (soprattutto quando si tratta della confezione di oggetti destinati al consumo) è strettamente legata alle tecniche grafiche del visual design le quali contribuiscono sia a rivelare il contenuto, nei casi in cui l’involucro non svela il prodotto che racchiude, sia a presentare il prodotto in maniera esteticamente attraente. In altri termini, la grafica contribuisce efficacemente alla messa a punto di una delle funzioni più importanti del package, alla elaborazione cioè di segnali e di simboli con lo scopo di richiamare l’attenzione del consumatore e convincerlo all’acquisto. I segnali e i simboli del messaggio pubblicitario, implicito nella confezione, contribuiscono nello stesso tempo alla formazione di un particolare linguaggio iconografico che condiziona, a sua volta, la cultura visiva di massa e l’odierno panorama urbano.
La tendenza delle tecniche dell’imballaggio a esercitare una pressione psicologica sul mercato non è senza rischi per l’attività del designer: il package finisce infatti con il tenere separati il contenente e il contenuto e a dare un’importanza sempre maggiore al primo termine. L’involucro si trasforma in una pura e semplice veste che il prodotto deve indossare per attrarre l’occhio del consumatore. Il design rischia di ridursi a una operazione di cosmesi.
Si tratta di pericoli tutt’altro che teorici se si deve prestar fede (e non c’è ragione di non farlo) alla dichiarazione di uno dei personaggi più in vista dell’industria alimentare americana, secondo cui «spesso la confezione è più importante del prodotto che contiene». Del resto non è il solo a pensarla così: è infatti opinione molto diffusa tra industriali ed esperti di mercato che l’abilità nel produrre conta, oggi, meno dell’abilità nel vendere ciò che si produce. Ralph Cordinier, presidente della General Electric, si era reso conto perfettamente di questo fenomeno fin dal ’46, quando, dovendo riorganizzare la società, spostò il centro di propulsione dell’azienda dal direttore di produzione al direttore del marketing.
Sull’importanza sempre maggiore che le tecniche del packaging hanno assunto nella odierna economia di mercato è stata richiamata l’attenzione del pubblico da un vivace e spregiudicato volume di James Pilditch, uscito in Inghilterra nel ’61 con il titolo un poco misterioso The silent salesman (Il venditore silenzioso) e tradotto in Italia con il titolo, meno suggestivo ma più esplicito, «L’imballaggio nella moderna distribuzione commerciale» (editrice ETAS KOMPASS).
Pilditch è uno dei più noti designers ed opera soprattutto in Inghilterra e nel Canda nel settore della pubblicità e della confezione dei prodotti industriali. Per questa sua posizione, egli ha una conoscenza di prima mano di tutti questi problemi, dei successi e degli errori collezionati da industriali e committenti, designers e pubblicitari nella lotta per la conquista dei mercati. Per lui, il venditore silenzioso non è altro che la confezione del prodotto, cui l’industriale affida sempre più la propria fortuna. Nei negozi esistono ancora i commessi, ma si tratta di una categoria destinata a scomparire a mano a mano che si affermano i nuovi metodi di distribuzione commerciale, quali il supermercato e il self-service.
La rivista «Time» ha calcolato che negli Stati Uniti, se volessero tornare ai metodi tradizionali di vendita, avrebbero bisogno di un milione e mezzo circa di commessi. E naturalmente non li hanno. Allora il package prende il sopravvento esigendo dalle industrie stanziamenti di fondi sempre maggiori. Questo anche per un’altra ragione, ossia per il fenomeno della similarità dei diversi prodotti legata alla stessa evoluzione tecnica. Pilditch riporta in proposito una significativa dichiarazione del direttore di una fabbrica di birra: «Debbo dare al pubblico quello che desidera e perciò spendo cifre non indifferenti per far compiere ricerche le quali mi dicono che cos il pubblico desidera. La stessa cosa fanno i miei concorrenti. Di conseguenza, fabbrichiamo una birra più o meno identica». La differenziazione dei prodotti viene affidata, quindi, soprattutto all’involucro e al messaggio pubblicitario di cui esso si fa portatore. Ma, ancora una volta, la funzione del designer rischia di integrarsi totalmente al sistema di produzione-consumo tipico della società moderna, abdicando a quella componente critica che la tradizione storica del design gli aveva affidato.