Ma lo spazio è sovrano

La costruttività come base per Pardi.

Una mostra indubbiamente singolare questa di Concetto Pozzati presentata nella galleria di Mara Coccia, a Roma, e, ora all’Annunciata di Milano. Singolare perché un artista affermato e riconoscibile come Pozzati ha deciso, a un certo punto, di presentare le prove del suo esordio realizzate tutte tra il 1955 e il 1960. Era il momento della grande stagione informale che si avviava al declino e che costituiva, inevitabilmente, un termine di riferimento quasi obbligato per un artista ai suoi inizi.

Figuriamoci, poi, un artista giovane a Bologna, dove la figura quasi mitica di Francesco Arcangeli veniva identificata con l’Informale, sia pure con un’interpretazione tutta particolare, tutta versata sulla polarità di un «nuovo naturalismo». I saggi di Arcangeli, in quegli anni, dividevano il campo in schiere fieramente contrapposte, provocavano discussioni a non finire.
Gli esordi di Pozzati sono legati a questo contesto, ma le opere che abbiamo potuto vedere in questa riproposta critica, curata da Silvana Sinisi, ci parlano di una tensione espressiva volta altrove, orientata piuttosto in senso materico e oggettuale e, soprattutto, verso una strutturazione della superficie sorretta già da una marcata esigenza di forma.
Mi sembra un’indicazione decisiva, che ci dà la chiave giusta per comprendere queste opere giovanili di Pozzati e di individuare ciò che le caratterizza e le distingue all’interno delle declinazioni informali di quegli anni, legandole, sia pure in maniera aperta e flessibile, a quel che è venuto dopo nella storia dell’artista bolognese.
In sostanza, l’Informale di Pozzati si configura certamente come un’esperienza del gesto e della materia, come rapporto empatico con il mondo esterno, come identificazione tra un soggetto e un oggetto (tutti aspetti che appartengono all’area informale nel suo insieme), ma tutto questo è assunto con una sorta di attenzione analitica che induce l’artista a cogliere l’individualità delle singole, diverse unità che compongono l’insieme dell’opera.

In un’area tutta diversa di esperienza ci porta la mostra di Gianfranco Pardi allestita alla galleria «L’Isola», in via Gregoriana, a Roma. Si tratta di un’arte che punta tutte le sue carte su un’idea di costruzione, su procedimenti, cioè, sorretti da una precisa intenzionalità progettuale e quindi tendenti a eliminare ogni arbitrio e ogni improvvisazione. Il termine di riferimento, per un’opera siffatta, è l’architettura e non è senza ragione che per molti anni il lavoro di Pardi ha guardato a questa disciplina mutuandone non solo le modalità costruttive ma anche figure e spunti tematici.
Nelle opere recenti, tutto questo appartiene a una stagione superata, nel senso che, ora, la costruzione appare molto più libera e aperta, più disponibile ad accogliere anche una componente di aleatorietà e imprevisto. Certo, Pardi lavora sempre all’interno di quello che si potrebbe definire l’ésprit de géométrie, di un’arte cioè che va alla ricerca di un ordine numerico sotteso alla varia fenomenologia delle forme, ma è troppo sottile, e scaltrito, per credere di poter recuperare la costruttività storica che aveva chiesto appunto alla geometria gli strumenti per attingere la sicurezza di una forma assoluta.
Nell’opera di Pardi si afferma, invece, una sorta di pensiero relazionale, che accetta di fare i conti con le ragioni più profonde del soggetto e nello stesso tempo si pone il problema di mettere a punto strutture di comunicazione intersoggettiva. La geometria perde ogni connotazione essenzialista per assumere la funzione di un insieme di figure elementari a partire dalle quali è possibile costruire un nuovo linguaggio, più duttile e flessibile, più aperto a cogliere i movimenti e le intermittenze della mente.

CONCETTO POZZATI
Galleria Annunciata
via Manzoni 44
Milano fino al 30 giugno

GIANFRANCO PARDI
Galleria L’Isola
via Gregoriana
Roma fino al 15 giugno