Collezione

La collezione che Filiberto Menna e Tomaso Binga (al secolo Bianca Pucciarelli Menna) hanno costruito sin dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, si configura come un fondo unitario, che, se da una parte evidenzia le proairesi estetiche e linguistiche di Filiberto Menna nel campo dell’arte moderna, dall’altra mostra una forte e vivace linea con l’attività di Tomaso Binga e dell’Associazione Lavatoio Contumaciale, attiva a Roma sin dal 1974.

La Collezione della Fondazione Filiberto e Bianca Menna è un gruppo di 270 opere che attraversa periodi e climi artistici differenti, dalle Avanguardie Storiche e dai grandi movimenti di primo Novecento all’Arte Cinetica e Programmata, dalla Pop Art all’Arte Povera, dalla Poesia Visiva alla Pittura Analitica, dall’Astrazione Povera teorizzata dallo stesso Filiberto Menna negli anni Ottanta del secolo scorso ad alcune sfumature della galassia postmoderna. Nel suo insieme, si tratta di un nucleo organico, denso e interdipendente, che rispecchia appieno il gusto dei coniugi Menna, la loro storia, la loro avventura umana e culturale.

Al suo interno la Collezione propone un raffinato nucleo di carboncini, matite, litografie, grafiche e incisioni (o anche multipli come quello di Jesu Soto del 1969) comprate a rate da Menna – per la maggiore presso le gallerie romane Il Segno e Sciortino – sin da quando era un giovanissimo funzionario all’Alto Commissariato d’Igiene e Profilassi. Tra i nomi di questo nucleo storico che evidenzia anche gli interessi nutriti dallo studioso nei confronti dei grandi maestri dell’avanguardia troviamo Georges Braque, Pablo Picasso, Enrico Allimandi, Carlo Carrà, Marc Chagall, Alfred Kubin, Otto Dix, Paul Klee, Jean Dubuffet, Kari Hubbuch, Luigi Veronesi. Successive sono due incisioni di William Hogarth (First stage of cruelty e Second stage of cruelty, del 1750-1751) acquistate da Menna nel periodo in cui scriveva il suo William Hogarth. L’analisi della bellezza.

Notevoli, nel ventaglio degli artisti storici presenti in Collezione, sono i Tre Momenti (1924) e il Conflitto di forze (1952) di Enrico Prampolini che Filiberto Menna riceve in dono dai nipoti dell’artista futurista all’indomani della importante pubblicazione – prima ricostruzione sistematica dell’opera dell’artista – del 1967.

Un discorso a parte va fatto per Composizione n. 19 (1918-1920) di Julius Evola, acquistata alla Galleria La Medusa di Roma in occasione della mostra di Evola curata da Enrico Crispolti, dove Menna era andato in compagnia di Paolo Portoghesi il 23 novembre 1963, giorno del vernissage. Presentato per la prima volta nel 1920 alla Galleria Bragaglia di Roma e di cui si era persa ogni traccia tant’è che in occasione della mostra Julius Evola e l’arte delle avanguardie tra Futurismo, Dada e Alchimia (Palazzo Bagatti-Valsecchi - Milano, 15 ottobre | 29 novembre 1998) si parla ancora di «ubicazione sconosciuta», la Composizione n. 19 è una delle opere di maggiore rilevanza nell’universo compositivo evolano: «in essa è rappresentata la fase fondamentale dell’opus alchemico: la cottura nella quale, attraverso il fuoco, si compie la trasformazione della materia prima. Composizione n. 19 si può considerare la prima opera nella quale l’Alchimia è dichiaratamente il tema della rappresentazione e dell’operazione pittorica, che nel suo farsi sottolinea e crea parallelismi con l’Arte Regia. È ipotizzabile che Composizione n. 20 e Composizione n. 21, di cui non si hanno tracce, facessero da pendants a Composizione n. 19, quasi una sorta di trittico, in un venivano sviluppate le altre due fasi dell’operato alchemico: l’albedo e la rubedo» (E. Valento). Replicata dallo stesso artista nel corso degli anni Sessanta, l’opera è rimasta per molti anni custodita nella collezione di Filiberto e Bianca, anche se si era smarrita del tutto la sua collocazione. Rintracciata da Vitaldo Conte l’opera è stata successivamente esposta nell’ambito della mostra Arte come alchimia, mistica, biografia. Opera e documentazione (Castello Aragonese - Reggio Calabria, 2 dicembre 2005 | 6 gennaio 2006).

Di notevole interesse storico è anche la serigrafia di Victor Vasarely (Senza titolo, 1965c.), opera esposta in occasione della mostra l’impatto percettivo curata da Alberto Boatto e Filiberto Menna nell’ambito delle tre Rassegne di Amalfi (1966).

La maggior parte delle opere che compongono la Collezione sono preziosi doni di artisti e amici come Vincenzo Agnetti, Fabio Mauri, Piero Gilardi, Vettor Pisani, Carlo Alfano, Ketty La Rocca, Renato Mambor, Claudio Verna, Pino Pinelli, Salvatore Emblema, Antonio Passa, Enrico Pulsoni, Bernard Venet, Emilio Isgrò, Michele Zaza o Dadamaino che in una lettera del 10 aprile 1986 scrive: «Carissimo Filiberto, allego alla presente due disegni originali», si tratta delle due Costellazioni china rossa e china blu, «dei quali sceglierete quello da pubblicare. Li spedisco a te perché poi desidererei li tenessi tu quale mio gradito omaggio. […]. Grazie di tutto e un forte abbraccio a te e Binga, con tanta stima ed affetto, dada».

Guardando inoltre con attenzione i pezzi che compongono la Collezione è infatti possibile comprendere le scelte culturali e in alcuni casi la generosità sia di Filiberto che di Binga, attiva appunto con il Lavatoio Contumaciale sin dal 1974, dove organizza, spesso in dialogo con il marito, mostre di poeti visivi e sonori, incontri e progetti di importanti nomi dell’arte come Renato Barisani.